E' della merla
la triade del mese
giorni di freddo
leggenda del camino
la merla tutta nera
Lorenzo 31.1.22
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E' della merla
la triade del mese
giorni di freddo
leggenda del camino
la merla tutta nera
Lorenzo 31.1.22
Contadino, mestiere d'antenati,
la terra arsa in agro sitibondo,
mattino ad ore cinque nel silenzio,
gìà pronto per andare alla campagna,
traino pieno d'attrezzi per fatica
messi sulla carrozza di legname
che due mestieri avevano attrezzato,
fabbro ferraio e maestro d'ascia,
una mula legata alle due stanghe
con una scala a pioli ed un aratro
di cui l'apologia è stata fatta,
poggiata alla fiancata dell'ufficio
e sotto una lampara, una lucerna
che luccica la strada ancora buia,
c'è pure il cane, annusa una galetta,
la vecchia secchia in legno a toghe larghe
d'acqua d'utilizzare per bisogno
e s'allontana intanto cigolando,
il carro per la via della campagna
mentre immobile imbianca l'alba uggiosa
e casa che s'imbeve ancora al freddo
col pane sempre colmo di speranza
e guadagnato con la provvidenza.
Lorenzo 30.1.23
Zizì: Mio zio.
Quanne jè tìmbe de zàppe e pìute,
nè amìce nè nepìute,
quànne jè tìmbe de venemà
zizì da dòue zizì da ddà.
Quando è tempo di zappare e potare,
nè amici nè nipoti,
quando è tempo di vendemmiare
zio di qua zio di là.
Ora è tempo di potare e zappare,
è l'ora del riposo ai nostri ulivi
prima della ripresa vegetale,
per cui lo zio invita i suoi nipoti,
nei campi per ausilio a disbrigare
le regole del tempo dell'inverno,
dopo che a dicembre han dato i frutti
per l'olio benedetto dell'annata.
Dall'orecchio non sentono ragione,
non è per noi mestiere da sbrigare,
comporta assai fatica con il freddo
che incombe alla mattina di gennaio,
come quel padre invita il suo Colino
l'erede a cui spetta il suo podere,
zappa Nicola mio, non indugiare,
rimuginando, il Nostro, tra i suoi denti
nicchia il comando, fuggendo l'incombenza,
anche per potatura che prevede
lasciar chioma leggera che permetta,
ad aria e sole di attraversarla.
Lavoro che comporta gran fatica,
è meglio la vendemmia nell'autunno
quando il caldo giusto ti consente,
d'essere allegri in dolce comitiva,
lì dove c'è lavoro a giovinette,
tengono compagnia all'imbrunire.
Ordunque, lo zio di qua, lo zio di là,
io voglio lavorare alle matine,
fin dalle prime ore mattutine.
Lorenzo 29.1.23
Torniamo ai fatti della nostra terra
sono coperte d'acqua le mie vie
in bianche e nere ombre di gennaio
torna il silenzio dell'inverno immoto
col rumore rombante dei trattori,
quest'oggi sono fermi per la pioggia
che giove pluvio adopera a piacere,
nè s'ode più lo zoccolo dei muli
legati all'ore due della notte
dai possidenti della via d'un tempo
era d'estate al fresco d'orologio,
non torna indietro il tempo già vissuto
sono rimaste dimensioni d'oggi,
i fiumi nelle strade per la pioggia
Lorenzo 28.1.23
"Sul forno c'era scritto "Backofen",
era naturalmente, un forno tedesco:
era l'industria tedesca che la nostra
legge aveva protetto.
Era un bel forno sembrava [simile]
a quelli che avevo visto prima a Dachau:
uno di quei piccoli forni dove finiscono
gli uomini e la storia"
Carlo Levi, Le Mille Patrie,
VI Non toglieteci il pane, Donzelli Ed, pag. 171
S'aprirono i cancelli in questo giorno,
orrore apparve agli occhi della terra
baracche pregne di speranze vane
disciolte in fumo delle ciminiere,
i terminali di forni infernali
ov'ardono dei corpi inanimati,
per non lasciare traccia del misfatto
e alla storia il dubbio alla ragione.
Sono anime che gridano pietà
dissolte nel fuoco della crudeltà.
Ora si librano libere al vento,
angoscia più non stringe il loro petto,
intolleranza più non le attanaglia.
Non sono impure l'anime fulgenti
in improvvisi venti di libertà.
E noi che siamo qui a ricordare
chiediamo a Voi pietà e perdono
per la nostra infangata indifferenza,
anche pensando a verità negata,
simili noi a pietre sepolcrali.
Giorno della Memoria d'olocausto
in terra ancor sfiorata dall'infausto.
Lorenzo 27.1.23
Fonte Wikipedia
Ci vu u fìghhie cherrìire, mìtte la tàvue e mànnue a pìgghià re mìire.
Se vuoi che tuo figlio impari ad essere corriere ed ubbidiente,
apparecchia la tavola e mandalo a comprare il vino.
Detto d'antica gente d'una volta
per insegnare buona educazione
spronar bisogna sempre i propri figli
ad ubbidir ognora a quei comandi
acchè di casa assolvino faccende.
Esempio d'aforisma detto sopra
serve il vinello fresco per il desco
per cui il figlioletto sempre attento
s'approccia con il fiasco alla cantina
di Ciccio il cantiniere del mio borgo
un litro di rosato che zampilla
da botte custodita dietro il banco
e mescita a servire quel ragazzo
che porta a casa il vino frizzantino
Lorenzo 26.1.23
Tùtte chenzìglie sì pegghiànne, ma u tìue nà u sì allassànne.
Accetta tutti i consigli degli altri,
ma non abbandonare (mai) il tuo pensiero.
E' un invito ad ascoltare le opinioni altrui
senza, però, perdere di vista il proprio
modo di pensare.
Diverso d'altra volta l'aforisma
consigli inascoltati erano prima,
ma quelli a pagamento sempre buoni,
piuttosto a quelli dati con il cuore.
Adesso invece ascolta quello d'altri
puo' essere migliore del pensiero
ch'alberga nella mente ch'appartiene
alla ragione prima di persona.
Insomma ascolta quello ch'è degli altri
non dare in ciò il niente per scontato
pondera bene innanzi decisione,
che il tuo consiglio d'essere migliore.
Degli altri quindi il peso devi dare,
aspetta un po' prima di ponderare.
Lorenzo 25.1.23
La cechèule cànde, cànde, e po' sckàtte.
La cicala canta, canta e poi scoppia.
Riferito a persone che continuano
a parlare anche quando non vogliamo
più ascoltarle, fino a quando poi,
inascoltate, zittiscono.
Delle chiacchiere
si dicono nel borgo
e raccontano
i fatti della gente
come cicale in canto
Lorenzo 24.1.22
Re chenzìglie ca nan se pàghene, nan se séndene.
I consigli che non si pagano, non si ascoltano.
Un consiglio disinteressato non viene ascoltato,
mentre un consiglio richiesto, magari anche pagato,
gode di credibilità.
"Ognuno di noi ha vissuto qualcosa che l'ha cambiato per sempre"
Alda Merini
Buoni consigli s'ascoltano mai
se li ascoltassi saresti felice
perchè la contentezza è come un treno
non ha orari e prenderlo potrai
soltanto se l'adoperi ai buon segni
che i saggi danno sempre ai loro figli
il treno passa uno ogni cent'anni
non si prevede arrivo ed è pertanto
che devi stare sempre alla stazione
al volo afferra non verrà domani
conservalo se puoi nelle tue mani
Lorenzo 23.1.23
Non sarò breve
inizia Monsignore
il suo Sermone
che non tralascia nulla
di Spirito Vissuto.
E del Salmista
parole già provate
e meraviglia
assieme ai Verbi suoi
passato dal deserto.
Mosè nel cuore
trafitto dal Roveto
e ritrovato
in terra di Missione
un Segno del Mistero.
E del Grembiule
si stringe sempre più
la vita sua
venuto nella Terra
dov'è la prima Grotta.
E ringraziando
nessuno tralasciando
l'attento Padre
il primo di sua Chiesa
Genitori e Fratelli.
Ed anche i nonni
da cui ha conosciuto
quella bellezza
del Volto del Mistero
e tutti ha ricordato.
E alla fine
il Vescovo Profeta
di sua terra
Preghiera a Santa Madre
ch'alleni la Speranza.
Lorenzo 22.1.23
Dono Speciale
in Giornata Speciale
è quell'Ulivo
il Simbolo di Pace
e della Fratellanza
Lorenzo 21.1.22
F. Speranza dipinto del 1954
Treno in paese
colori luminosi
da mane a sera
locomotiva sbuffa
percorso mare a mare
caldi colori
irradiano la scena
rincorrendosi
tre piccoli monelli
in campo d'istruzione
già sognano
trovarsi nella scuola
che in quel luogo
sorgendo in anni appresso
è stata mia dimora
ed oltre il muro
ricordo d'un trappeto
la vivandiera
la pasta fatta in casa
caldaia sul treppiedi
caldi legumi
prepara per le squadre
ceci o fagioli
il pranzo agli operai
solerti trappetari
Lorenzo 20.1.23
Pietra su pietra, la torre vedetta,
in vecchia via tra borgo e marina
d'un soprannome l'etimologia,
d'un antico casato del contado,
quadrangolo murario a martelletto,
son pietre a secco come quei pareti
dividono dei campi e son dipinti
con i licheni pitture del tempo.
Lo stretto ingresso basso ad architrave
ed una scala a pioli nell'ingresso
portava al vano sopra per difesa,
con piccole finestre a feritoia,
un panorama aperto alla distesa
dei campi degli ulivi con l'incrocio
d'acqua marina in mare di cristallo.
Così salendo in cima a quella torre
segni di fumo e voce in lingua muta
per segnalare arrivo dei pirati
che un tempo infestavano quel mare,
come infedeli avvento d'oltremare.
Lorenzo 19.1.22
Profumo e pietre
banchetto per la strada
e quel sapore
un desiderio forte
s'annuncia la mattina
e della carne
un rotolo di misto
ed è trafitto
costretto che s'adagia
sul rogo di carboni
Lorenzo 18.1.22
Per la campagna
ci sono quegli intrecci
per predisporre
i frutti di raccolta
in sporte ed in canestri
tagliati in quattro
i giunchi della lama
con rami dell'ulivo
vendevansi le sporte
estinto quel mestiere
Lorenzo 17.1.23
Mi s'apre il cuore quando leggo il nome
dell'antico trappeto sulla via
della marina nostra amica mia,
ambienti da rettangoli formati
le volte a botte ed asini a girare
le mole delle vasche con le bende,
un tetto a chiancarelle a copertura,
lamine in pietra dura sembra selce,
interno di museo d'altri tempi
macine, torni e tini, un focolare,
il regno dell'attiva vivandiera
che preparava il pasto agli operai,
si davano a scambiarsi la fatica
tre volte in ventiquattro di giornata
o forse due in tempo sindacato.
Ricordo vivandiera del trappeto
a fianco di stazione del ridotto,
lo scartamento della ciclatera,
erano i tempi primi al secondario
e la gran madre era vivandiera,
legumi cucinati al focolare,
fagioli o ceci ed acqua al primo sale,
unico piatto e ricca colazione
con olio fuoriuscito dalla pressa,
e pane la schanata, tre fettine,
del forno di Colino fatto a mano,
zuppa di pane intriso di quell'acqua
profumi di quell'olio appena nato
e sento ancora odori di quel luogo.
Ma è tempo di tornare alla marina
a proprietà di nobile casato,
d'alte mura protetto e custodito,
d'intrecci di famiglie e di progenie,
economia d'un tempo trapassato
ed era pieno il luogo di strutture,
fondante conduzione e di risorse.
Sta risorgendo d'antico splendore
grazie al lavoro d'un restauratore.
Lorenzo 16.1.23
La piazza della mia giovinezza,
era diverso allora quello spazio,
con una Chiesa ed un mercato chiuso
di tanti venditori adesso estinti,
macellerie con pizzicherie
e fuori chianche biance per pescato,
facevano ogni giorno capolino
dalle marinerie a noi vicine,
paranza di frittura vi giungeva
e con un tocco a guancia ch'indicava,
ch'era un pescato che toccava il gusto,
per la fragranza ed il sapor del mare.
A sera, poi, c'era il banditore,
girava per i vicoli del borgo
ed avvisava che un buon bianchetto
era arrivato a chianche del mercato,
piccoli pesci da mangiare crudi,
con olio, col limone e un po' di pepe
o friggere nell'olio dell'annata,
infine, in quella Chiesa parrocchiale
i nostri sogni scritti su quei banchi
i sogni del futuro e d'avvenire,
gli sguardi di promesse in divenire.
Lorenzo 15.1.23
Longa Voje,
Longa besciòje:
Quanto più son lontani
i fatti avvenuti,
tanto più sono infarciti di bugie
Quelle bugie
hanno le gambe corte
del burattino
cresceva il naso lungo
e questo succedeva
a lunga via
più vecchio era l'annuncio
dell'accaduto
d'eventi più farciti
con amare falsità
Lorenzo 14.1.23
La Mia Seconda Patria !! |
"Il Polesine era una terra contadina,
uno dei paesi veri d'Italia,
dove la vita, i pensieri, le immagini prime,
i sentimenti, gli interessi,
le passioni, sono legate alla terra,
tutt'uno con lei, con il volgersi
delle stagioni, con le messi, col sole e le nebbie,
e i raccolti e i mercati e gli animali
e le eterne cose d'ogni giorno.
Era, e tornerà ad essere:
poichè sarà rifatto dalla fatica contadina,
come fu fatta mille volte
nella sua mutevole storia." [...]
Carlo Levi, Le Mille Patrie ...
VIII [...] del Polesine, Donzelli Ed, pag. 113
Dopo la culla avuta dai natali,
subito accanto la città che ho amato,
sta dopo la Romagna là dal ponte,
che passa il grande fiume dell'Italia,
principio di laguna in questo luogo,
un'isola ch'affiora dalle acque,
framezzo ai lunghi corsi della Patria,
il grande dalle cime del Monviso,
piccolo, invece, in terra di confine,
teatro di battaglie degli eroi,
i Nostri, ch'immolarono lor vita,
per conquistare il nostro sacro suolo.
Foci padane in seno alle paludi
che nella bruma vi trovai nel tempo,
quando la nebbia soffocava il borgo,
un dì domenicale mai scordato.
Quest'è storia di sforzo secolare,
traverso la progenie contadina,
in secoli trascorsi hanno vissuto,
quell'orme di contrasti e nessi amari,
tra terra ed acqua trascorrendo il tempo,
passato per difendersi dall'acque,
fatto di calme o furie distruttrici
e la pazienza d'uomini temprati,
nelle campagne attive o abbandonate,
forgiando la natura d'abitanti,
legati alla difesa ed all'attesa.
Amici cari, in tempo mai scordati,
che nelle tristi ore del mio viaggio,
m'hanno donato il tempo d'un sorriso.
Amici cari, mai dimenticati,
dell'era dei vent'anni, giudicati.
Lorenzo 13.1.23
"Non è la miseria informe e suicida,
dei sobborghi della città,
ma la miseria
nobile e civile dei contadini"
Carlo Levi, Le Mille Patrie... Donzelli Ed, pag. 193
Una miseria filtrata nel tempo
tutte le ore e tutte le stagioni
un tempo eterno prima degli albori
di nobile cosa in un mondo ostile
ivi ritrovo il mondo della vita
quella dei contadini d'una volta
in un brulla prigione di pietra
fatta di povertà e devozione
calore dell'estate per Maria
avverso il freddo gelido d'inverno
lotte e contrasti verità di cose
nella stradetta ripida ed oscura
due bimbi sono scalzi contro uno
oggi ad uno domani tocca ad altro
scontro tra verità e le ragioni
quest'è storia in tutte le stagioni
Lorenzo 12.1.23
E dell'ulivo
quell'albero agli albori
del maestrale
il vento lo strattona
un inviolato corpo
secondo il verso
di flussi capricciosi
il fusto è forte
piantato sulla roccia
terra l'accoglie
si calmerà qual spiro
e tornerà la quiete
Lorenzo 11.1.23
Lungo la via
edicola votiva
tronchi d'ulivo
circondano quel tempio
della Misericordia
Lorenzo 10.1.23
Famme pòvre ca te fazzeche ricche:
rendimi povero (di rami) ed io ti faccio ricco,
detto di una buona potatura.
Sembra un colloquio muto dentro il campo
tra l'albero d'ulivo e il suo mentore
come Odisseo affida il figlio suo,
così l'agricoltore cura chioma.
Primo a parlare è il tronco già privato,
che delle drupe ha donato l'olio.
Siamo a gennaio dopo feste andate,
fammi povero ma diventi ricco,
a questo invito il bravo potatore
comincia spoliazione di quei rami
dopo il riposo ch'è vegetativo,
senza tensioni inutili all'ulivo
e qui s'adatta fase sopraffina,
le forbici e gran senso di rispetto
come il barbiere fa nel suo salone,
con i capelli d'uomo lì seduto,
carezza di velluto necessaria,
come ai capelli ricci d'un infante,
nei primi anni togliere i polloni
dai piedi ben piantati nel terreno
e rami secchi inerti su quel tronco.
La formazione e poi mantenimento,
quindi, la potatura per produrre
mirata, dunque, a togliere quei rami
malati o difettosi nella chioma,
con luce ai rami d'esserci nel folto
di fronde verdeggianti dell'ulivo
ed evitare, quindi, l'alternanza
fertile annata verso quella magra,
dall'alto in basso il corso della chioma.
Netto e deciso il taglio di quei rami
come il chirurgo sa curare attrezzo,
il bisturi che taglia cute d'uomo,
qualche minuto in più per preparare
bene gli attrezzi atti ad operare,
lavoro certosino e tagli giusti
e se vi gusta, questo è il segno giusto,
di quell'ulivo per un olio a gusto.
Lorenzo 9.1.23
Chiangarìidde de fremmàgge, da Natéule a re rè Màge.
Chiancarello porta formaggio, da Natale fino all'arrivo dei Re Magi.
Filastrocca recitata dai bambini di una volta.
Proseguendo dopo Chiancarello si giunge all'Antica del Petto (detta anche Pengìidde)
che è un viottolo ripido e sassoso.
In quella zona si produceva 'u pettigne', formaggio rivestito di pece
(simile al pecorino romano).
I bambini di un tempo dicevano che, da quel viottolo ripido, scendevano i Re Magi.
Una contrada verso le matine
un campo di pallone mi ricorda
quando giocavo a sfide d'una volta
fra squadre di rioni parrocchiali
un viottolo in discesa che portava
in una grotta buia con graffiti
era dimora antica di preistoria
di tataranni nostri tataranni
la filastrocca detta dai bambini
in quella zona c'era del formaggio
dal dì dì Natale fino alla Befana
per quel tratturo d'una via sassosa
scendevano i re magi dall'oriente
per chiudere le feste ormai trascorse
Lorenzo 8.1.23
Pèune, alì e seùle fàcene
'mbrènne a u chezzèule.
Pane, olive e sale
sono la merenda del contadino.
C'era un tempo in piana degli ulivi
di drupe dell'annata la raccolta
nella maniera antica d'una volta,
a notte fonda si metteva sotto,
il mulo al traino che s'incamminava,
verso il campo d'alberi d'ulivi
e s'arrivava mentre ch'albeggiava,
mettendo i panni stesi sotto i tronchi,
e s'accendeva il fuoco in mezzo al luogo,
per riscaldar le mani intirizzite,
ponevano gli agresti un po' d'olive
sotto cenere fatta dai rametti.
Intanto che il giorno s'accendeva.
dalla bisaccia preso un po' di pane
facevano merenda con le olive,
con quelle drupe colte lì al momento,
un po' di sale sopra e un pomodoro,
sul pane brustolito nel contempo
ed era la merenda d'antenati
e, dunque, dato un morso, sulle scale
con gli aiutanti sotto, fra le zolle.
Una merenda sostanziosa e sacra,
per dare grande forza a quella squadra.
Lorenzo 7.1.23
La Befàne vèine de notte.
La Befana vien di notte.
Epifania
porta le feste via
mi riservava
una calzetta appesa
al più pendente al letto
i fichi secchi
con mandorle tostate
ed i bagigi
le caramelle al latte
e frutta dell'inverno
i mandarini
un tocco di carbone
d'assoporare
e ancora pien di sonno
l'aprivo la mattina
portava via
frattanto nel contempo
i sogni di bambino
Befana d'una volta
colma di nostalgia
Lorenzo 6.1.22
Ghenghelìcchie: persona di statura piccola, ma graziosa.
Un pollicino nostrano, assai sfaticato,
finisce in un motteggio molto popolare:
Ghenghelicchie addò stèje? Jìnd’ a la vende du vòuve.
Pollicino dove stai? Nella pancia del bue.
Va a jègne l’acque. Tènghe la spòine a u pèite.
Va a riempire l'acqua. Ho la spina al piede.
E' sfaticato il Nostro Pollicino
scansafatiche, fugge dal lavoro,
è sgomento del suo buon datore,
d'ogni comando trova buona scusa,
non lavorar, gli garba un sonnellino,
nel buio di cantina in sottoscala,
lontano dal suo posto di catena
e il suo benefattore che lo chiama
e gli domanda dove ci si trova,
con ironia esclama che riposa
nel ventre del bovino ruminante
e con preghiera di recarsi a fonte,
risponde che una spina l'ha trafitto,
ha il piede rovinato ed impedito
Lorenzo 5.1.22
Si còme a nu geséppe de fòure.
Sei come un giuseppe di campagna (scarafaggio).
Detto di chi si dà da fare senza raggiungere l’obiettivo,
così come lo scarafaggio nero campagnolo,
che tenta inutilmente di scalare il monticello di terra arata.
Sembra una zolla di sottil fattura,
un solco dell'aratro nel terreno,
non sembra molto alto per l'umano,
eppure una montagna per il grillo,
lo scarafaggio scuro che s'appiglia
coi suoi artigli in umida zolletta,
corpo depresso dipinto d'effetto
bruno tendente, predilige il nero,
la nuda terra o sporchi scantinati
il suo rifugio non illuminato,
vive all'aperto, foresta, in campagna
non vola su nel cielo ed è veloce,
così mettendo quarta al moto suo
oppur restando immoto saldo e fermo
Re sólde du carecchiéure se re mmànge u sciambagnàune.
I soldi dell'avaro li consuma lo sprecone.
Lo zelo eccessivo nell'accumulare denaro
può risultare vanificato nel momento in cui
a beneficiarne è uno sprecone.
Ho conosciuto tanti paperoni,
ricchi signori abitanti in reggie,
palazzi ereditati d'antenati
con il parterre ed una scalinata,
sembrano adatti per le cerimonie
d'eventi di quest'oggi e matrimoni,
frutto d'indivisibili sostanze,
con condizione a vivere da soli.
Palazzi con cantine ben ricolme
di vino rosso e dolce moscatello
ed uliveti ai fondi di contrade,
con i vigneti in valle premurgiana.
Queste persone soli nelle stanze,
si fidano di mangia scampàgnoni,
sognanti un giorno a divenir padroni
alla buon'ora del crudel trapasso
e tante volte già così sperato
che il ricco possidente un dì volasse
a miglior vita bell'è trapassato.
Ed unico arricchito il compratore,
delle sostanze avute dal padrone.
Così è accaduto a tanti paperoni,
che per non dar sostanze ai propri eredi,
rimangono da soli nel palazzo,
oppur diritto a primogenitura
ed altri figli chiusi nei conventi,
premio d'abati a capo di quei frati.
Memoria manzoniana sta l'esempio,
la monaca vissuta nello scempio.
Lorenzo 3.1.23
Làtre e malandróine a re Vécchie Fanìidde;
re trùve bùune ... scrìtte da u scarpìdde.
Ladri e malandrini ai Vecchi Fanelli;
li trovi tutti buoni …. con la scritta a scalpello (lapide).
Anche i malfattori hanno delle lapidi con epitaffi che li descrivono come benefattori.
VECCHIE FANIDDE = zona dove sorge il cimitero, in un tratto dell'antica Via Appia Traiana.
I Viali del dolore al Camposanto,
lungo il cammino i tumuli d'estinti
effigi della vita d'una volta
i volti sorridenti e ben distinti
con gli abiti nuziali della festa,
della progenie convolata a nozze,
fiore all'occhiello per il genitore,
collana d'oro al collo della madre
vestito in seta oppure in doppiopetto.
A ben guardare scritte, tanti elogi
erano tutti buoni da viventi,
amanti di famiglia e del lavoro,
giammai una parvenza di peccato,
nel bene e male, volti conosciuti,
se interpreti le scritte col scalpello
son tutti in Paradiso nella Gloria,
conservano così loro Memoria.
Lorenzo 2.1.23
S'innalza il grido
che sale verso il cielo
la Pace al Mondo
fraternità e concordia
s'ascolti questo grido
Lorenzo 1.1.23