giovedì 29 maggio 2008

Perdonami


Sembrava una serata come tante, tranquilla, nella nostra bella casa dove non è mancato mai nulla.
L’amore, la gioia e la serenità avevano dipinto di rosa le sue pareti.
Ascoltavo la tua voce, incantato, come il primo giorno che ti ho conosciuta.
Mi parlavi di nostra figlia, il nostro orgoglio, di quanto era diventata ancora più bella crescendo.
E’ una bella e brava ragazza la nostra bambina, ci somiglia, è vero.
Continuavi a parlare, mentre il silenzio della notte faceva da sottofondo al nostro amore, così grande, così forte, sempre insieme, tu ed io, le nostre mani intrecciate in ogni pensiero, in ogni respiro, dove eri tu ero io, sempre pronti a stupirci.
Sembrava tutto perfetto fin quando una strana angoscia s’ insidiò nella mente, attanagliandomi la gola in una morsa agghiacciante.
Avrei voluto svegliarti dal tuo sonno tranquillo, perché avevo paura, tanta paura, ma non sarei riuscito a spiegare il motivo.
Ad un tratto tutto assunse una dimensione diversa, incomprensibile, sconosciuta.
Tentai di calmare quel senso d’inquietudine, di cacciarla come folata di vento che trascina via le foglie morte.
Fallii.
Fu allora che cominciò il flagello della mia carne interiore, dei miei deliri.
Fu allora che ebbi paura di vivere, di ricevere e provocare dolore, non avrei sopportato che qualcuno dilaniasse le nostre vite, che ci derubasse d’infinite emozioni, che violentasse le nostre certezze.
Volevo offrirvi molto di più, inventarmi sagge pazzie e nuove poesie.
Superai la reticenza ed aprii un varco nel mio silenzio. Ti parlai, con gli occhi bassi, senza far trasparire il vero abisso della mia depressione, ma mi pentii quasi subito, dopo aver compreso, che in fondo capita un po’ a tutti di temere il senso della vita, le sue migrazioni, e la mistica ragione secondo la quale noi siamo.
Nei giorni seguenti feci emergere la genialità che mi ha sempre distinto per sconfiggere quei mostri che svendevano il mio vacillante coraggio per incatenarlo, forse in un angolo dell’immenso.
Surclassai quelle ombre che m’incurvavano verso la terra, e sentii che il sangue tornava a scorrermi nelle vene, senza più quel gelo ...
Decisi così di non morire dentro, per non dimenticare il nostro sogno, meravigliosamente sempre uguale.
Ricordo ancora quel mattino che respirai profondamente ed abbracciai la vita, la strinsi così forte che piansi come solo un uomo non sa fare.
Desideravo correre a casa, da te, da voi, cuori d’un unico battito, ma quella strada di periferia appariva troppo lunga, tutta colpa di quell’ ultima lacrima ancora intrappolata tra le ciglia, un sorpasso azzardato, un attimo d’incoscienza e piovve per sempre il pianto sul tuo cuore.
Amore mio, perdonami, l’impeto mi ha incatenato ed ora sei sola, in quella casa dove non manca nulla….e ti perdi a dipingere profondi solchi di dolore e folli perché, sulla tela ingrata di uno scenario che abissa la tua anima in un eterno tramonto.
Vorrei farti volare nella bianca pianura della verità e difenderti da me.
Sorreggi quest’anima mia per poterti restare accanto senza peccare.
Liberami da questo strazio che m’inchioda nel limbo del nostro dolore.
E’ stato un incidente, solo un incidente
perché ti amo e t’amerò sempre.



2 commenti:

  1. Un blog molto bello, ricco e vaiegato il tuo. Un piacevolissimo immergersi e perdersi ...
    Francesco

    P.S. - grazie per il tuo commento sin troppo benevolo per i mei versi su "la mente e il cuore"

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  2. Ti prende il cuore questo tuo racconto. A volte capita di aver paura di troppa felicità.....Grazie per il tuo commento su LaMenteEilcuore ...buona serata

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