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martedì 30 gennaio 2024
I Contadini
lunedì 29 gennaio 2024
Mio zio

Zizì: Mio zio.
Quanne jè tìmbe de zàppe e pìute,
nè amìce nè nepìute,
quànne jè tìmbe de venemà
zizì da dòue zizì da ddà.
Quando è tempo di zappare e potare,
nè amici nè nipoti,
quando è tempo di vendemmiare
zio di qua zio di là.
Fonte N. Pice
Ora è tempo di potare e zappare,
è l'ora del riposo ai nostri ulivi
prima della ripresa vegetale,
per cui lo zio invita i suoi nipoti,
nei campi per ausilio a disbrigare
le regole del tempo dell'inverno,
dopo che a dicembre han dato i frutti
per l'olio benedetto dell'annata.
Dall'orecchio non sentono ragione,
non è per noi mestiere da sbrigare,
comporta assai fatica con il freddo
che incombe alla mattina di gennaio,
come quel padre invita il suo Colino
l'erede a cui spetta il suo podere,
zappa Nicola mio, non indugiare,
rimuginando, il Nostro, tra i suoi denti,
variando il più volgare, nìcce tatà,
alzando il dito medio della mano,
oppur ruotando il pollice e l'indice,
come per dire non c'è nulla da fare,
per l'incombenza della potatura,
lasciar chioma leggera che permetta,
ad aria e sole di attraversarla.
Lavoro che comporta gran fatica,
è meglio la vendemmia nell'autunno
quando il caldo giusto ti consente,
d'essere allegri in dolce comitiva,
lì dove c'è lavoro a giovinette,
tengono compagnia all'imbrunire.
Ordunque, lo zio di qua, lo zio di là,
io voglio lavorare alle matine,
fin dalle prime ore mattutine.
Lorenzo 29.1.24
Rispetto alla precedente versione
del 29 gennaio 2023 è indicata la fonte
del detto dialettale e il cambiamento
del senso di alcuni versi,
più veritieri dei precedenti.
Il termine zappare ha un doppio significato:
Zappare nel senso autentico del termine,
oppure faticare in qualsiasi situazione,
cioè in senso figurato, zappare, mietere,
potare, lavorare e quant'altro.
Treccani: Zappare v. tr. [der. di zappa]. – 1. Lavorare la terra con la zappa: z. un campo, la vigna, l’orto, il giardino; usato assol., andare, mettersi a z.; ma va a z.!, come modo polemico di contestare a uno la sua incapacità per un lavoro impegnativo; prov. tosc.: chi vuole aver del mosto, zappi le viti d’agosto, un buon risultato esige una tempestiva preparazione; scherz., io sto coi frati e zappo l’orto, frase con cui si dichiara di rimettersi, stando in compagnia, alle decisioni degli altri. 2. Nel linguaggio milit., ormai ant., fare con la zappa lavori di fortificazione: z. le trincee; z. sotto a un baluardo, a un bastione, per abbatterlo. 3. fig. a. non com. Di cavalli, percuotere la terra con lo zoccolo, a guisa di zappa. b. Nel linguaggio sport., con uso assol., zappare, colpire con un calcio il terreno invece della palla. c. Con valore spreg., in usi e con sign. diversi: z. il pianoforte, l’organo, suonarli rumorosamente e male; z. i quattrini, averne in gran quantità; non com. z. nella rena, nell’acqua, affaticarsi inutilmente; assol., zappare, nel linguaggio marin., vogare male, riferito all’armamento di un’imbarcazione.
domenica 28 gennaio 2024
Potatura della vite
Abbròile: Aprile.
Ci se petàisce ad abbròile,
se fèuce assèje acqua e picche mìrre:
Se poti ad aprile, ricavi molta acqua
e poco vino.
Fonte : N. Pice
Sa bene il contadino quando pota,
la vigna sua sita alle matine
in fossa premurgiana conosciuta,
la potatura da novembre a marzo,
subito dopo caduta di foglie,
migliore il tempo da gennaio a marzo
prima del pianto cosiddetto in vite,
è un pianto di ritorno della pianta
dopo il riposo di vegetazione.
Il pianto rappresenta il suo risveglio
dal letargo in mesi dell'inverno,
quest'è il detto del saggio vignaiolo,
se in aprile fai la potatura
tu la vendemmia avrai con scarsa resa
con acqua in abbondanza e poco vino
e quando a San Martino avrai il novello,
scoprirai annacquato il tuo vinello.
Lorenzo 28.1.24
sabato 27 gennaio 2024
Per non dimenticare
L'Olocausto è una pagina del libro dell'Umanità
da cui non dovremo mai togliere
il segnalibro della memoria.
(Primo Levi)
venerdì 26 gennaio 2024
La Vita vera

"Appena aldilà di quella soglia"
Alberto Maggi, Fiducia, Edizioni Romena,
sesta ristampa, Aprile 2023, pag 45
di quella soglia
un passo ed un momento
persone care
momento bellissimo
in nuova dimensione
siamo qui con voi
qui nella stanza accanto
nulla è cambiato
col lume nella notte
la Luce accesa accanto
Lorenzo 26.1.24
mercoledì 24 gennaio 2024
Tra pepe e ghiaccio
RE PPÀIPE SE VÈNNE A JÒNZE,
LA NÀIVE A RÙUTE
Il pepe si vende a once,
la neve a chili,
a dire il maggior valore del pepe
rispetto al ghiaccio;
metaforicamente il detto
è riferito a qualche brunetta vivace,
per esaltare il suo colorito
di pelle scura, rispetto ai più comuni
visi languidi delle altre ragazze.
Fonte N. Pice
Io ricordo il mercato scoperto,
frutta e verdura e qualche bancarella
salumi e affini lungo quella strada,
vicino ad una chiesa con le scale
ed una piazza con reperti antichi,
raccontano la storia d'una torre
rimossa alla coscienza, seppellita,
con mura antiche poste per difesa.
Nel mercato, memoria non m'inganna
c'era una bancarella piccolina
ai limiti di scala benedetta,
vendeva il pepe macinato o a grani
'na cartecedde de pèpe si diceva,
un piccolo cartoccio quasi un'oncia
per rendere pietanza più gustosa,
col filo d'olio dei bei campi nostri,
pasta e fagioli, legumi d'altra specie.
un'oncia che misura trenta grammi,
ordine a giro sopra i maccheroni
con mozzarella, sugo con polpette
e la bologna d'arricchire il gusto
iusche lù pèpe gridava quel chiazzere,
per fare avvicinare i compratori,
nulla in confronto di barrette al ghiaccio
a chili si vendeva presso villa,
la fabbrica del ghiaccio ora estinta
per fare posto ai nuovi grattacieli,
Anni sessanta per la via maestra,
erano barre bianche e ben squadrate
lunghezza suppergiù sul metro e passa.
rappresentava mestiere d'estate,
per i ghiaccioli colorati e freschi,
si vendevano in tempo di stagione,
oppure si comprava per le case,
per rinfrescare in brocca il bottiglione,
del rosso primitivo o cerasuolo.
Tempi estinti d'un tempo passato,
eppure ancora non dimenticato.
Lorenzo 24.1.24
martedì 23 gennaio 2024
Acqua salutare
VÈULE NA CARRÒZZE O NU CARREZZÒINE
N’ÀCQUE DE MÈUSCE E DDÒUE D’ABBRÒILE
Una carrozza o una carrozzella vale tanto
quanto vale una pioggia di maggio
e due di aprile:
in un paese siccitoso una pioggia primaverile
può determinare un buon raccolto delle olive.
Il contadino identifica nei due lussuosi
mezzi di trasporto,
di cui fruisce il ricco proprietario terriero,
il termine di paragone per significare l’arricchimento
che a lui può solo venire dalla disponibilità di acqua.
Fonte N. Pice
Il motto dice tutta la sostanza
della valenza d'acqua benedetta,
si sa dalle mie parti c'è carenza
e allora il vecchio saggio cosa inventa,
confronto con attrezzi d'altri tempi
e un pozzo d'acqua sempre beneaccetto.
Ricordo da fanciullo quei sottani
dove non c'era una fontanella,
al più trovava il posto sulla piazza,
per il bisogno che serviva a tutto,
igiene personale e di ristoro,
allora, che t'inventa "Crocifissa"
*capàse o càndre da riempire d'acqua,
per cucinare al fuoco di fascine
e igiene personali quotidiani.
Fronte ai sottani casa dei padroni
e a piano terra c'era un bel pozzetto,
per conservare l'acqua che pioveva,
e quei Signori tanto generosi,
permesso ai confinanti bisognosi,
davano loro, intanto, tanto amore,
ch'attingere potevan nel portone.
Il paragone con carrozze e affini,
sta tutto nel benessere dell'acqua,
pioggia di primavera è bene accolta
dal ricco possidente d'uliveti,
che spera nell'inverno un buon raccolto.
E'meglio un pozzo d'acqua o una fontana,
che la carrozza vada in via lontana.
Lorenzo 23.1.24
*Capàse o càndre, vaso grande di terracotta.
Detto nel termine dialettale dei nostri nonni "ù Capasàune"
ibidem, N.Pice
domenica 21 gennaio 2024
Ironia
MÀRZE, NGÀT’A MMÀRZE E U MÉSE DE MÀRZE,
ABBRÒILE, NGÀT’AD’ABBRÒILE E U MÉSE D’ABBRÒILE,
MÈUSCE, NGÀT’A MMÈUSCE E U MÉSE DE MÈUSCE
SÒNDE NÒVE MÒISE, MARÌTE MÒJE?
Marzo, dalle parti di marzo e il mese di marzo;
Aprile, dalle parti di aprile e il mese di aprile;
Maggio, dalle parti di maggio e il mese di maggio:
sono nove mesi, marito mio?
Detto da una moglie fedifraga al marito,
per fargli credere che il parto avveniva
ai nove mesi giusti.
Fonte N. Pice
Dell'ironia fa il suo mestiere,
la moglie traditrice al suo consorte,
a cui promise un giorno il giuramento
davanti ad un altare o all'ufficiale.
I dubbi del marito già fugati,
sono tre mesi d'anno ripetuti,
del principale il nome e ai lati aggiunti,
avanti retro parti col mensile,
parla di marzo aprile e quel di maggio.
Non ricorda il Nostro, prima di marzo,
in quel settembre era alla vendemmia
un fuori terra in agro a settentrione.
Dunque, tranquillo caro mio, tranquillo,
i mesi sono nove, giusti giusti,
mesi di primavera e inizio caldo.
Fedele sono stata a mio marito,
ch'ho preso sottobraccio, buon partito.
Lorenzo 21.1.24
sabato 20 gennaio 2024
Mandorle
JÈ MÈGGHIE U PASTANÌDDE A LA PÒRT’AGHESTÒINE
CA LA FILÌPPE CÈIE A RE MATÒINE
Meglio possedere un “pastanello”
(qualità di mandorla di minor pregio)
in un campo nei pressi di porta Robustina
che la Filippo Cea (qualità pregiata)
in una zona murgiana (le Matine).
Fonte N. Pice
Aveva un campicello fuori porta,
dopo le Croci accanto ad un macello
oltre la strada circonvallazione,
un piccolo podere ordini otto,
eredità del Padre col mio nome
un uliveto in più qualche alberello,
mandorle pastanello giusto il gusto,
per preparare dolci per le feste,
il nome di padrona "Crocifissa".
A quel podere si giungeva a piedi,
quattro passi da Porta Robustina,
pietre a confine lungo quel quadrato,
carciofi di stagione ai piedi suoi
e al centro un pagliarulo come un trullo,
luogo di scampagnata di Pasquetta,
per aria salutare dopo il pranzo,
di Pasqua e di giornata dopo festa
ed in quel trullo attrezzi di lavoro,
poneva il nonno e parlo di cent'anni.
Ora quel campo in mente d'altri tempi,
ci sono adesso molte abitazioni,
costruite dagli eredi di quel campo.
Dunque, nella memoria resta il motto,
dell'aforisma scritto e sopra detto,
mandorle pastanello di marine,
che la Filippo Cea alle matine.
Lorenzo 20.1.24
mercoledì 10 gennaio 2024
La Luce nella Masseria
"Il Natale del 1942, fu per me un Natale
tutto particolare, [...] perchè passato
in campagna, presso la masseria denominata
"La Parata", sita a ridosso del folto
ed esteso bosco "Montepiano", al confine
tra il tenimento agricolo di Ferrandina
e quello del Comune di Salandra."
E. Colle, Sul Filo della Memoria, Racconti ..
Ed. Tipogr. Cortese, 2014, pag.117
Anni sessanta in terra di Lucania
famiglia numerosa in masseria
bambini e figli tanti tutti assieme,
a capo il patriarca nonno Eustachio
mantiene l'armonia in tutto il gruppo,
arriva la tivu a rallegrare
in terra dei calanchi e dell'argilla.
Voce narrante è un piccolo fanciullo
e tutti intorno al nonno si lavora,
le mamme in faccende casalinghe
uomini tutti a coltivare i campi.
L'innovazione tecnica nel segno
e l'antennista ha il suo da fare,
per celebrare rotta del progresso,
naturalmente solo pochi sanno
vedere i nuovi sogni e il nuovo tempo.
Arriva intanto un ricco possidente,
vecchio operaio della masseria
e chiede d'investire per comprare
la masseria per oscuri sogni,
cavare dalla terra tufo e argilla,
miscela necessaria per cemento
e costruire case nei quartieri,
il nonno Eustachio nicchia su proposta.
Un figlio intanto corre verso un male
ch'attinge le sue membra giovanili,
il tempo inesorabile s'addensa
sulla famiglia unita fino allora
e intanto il nonno passa ad altra Vita
e lì comincian guai per fratelli
guerra d'eredità per masseria,
ma prima il nonno compra un negozietto
per dare un lavor sano al suo malato,
sali e tabacchi, biglietti in lotteria
per vincere la sorte a Capodanno,
i bimbi sanno pure dove andare,
sedersi a riposare in casalini.
E c'è una luce che risplende in via
raggi negli occhi a guardare il sogno.
La guerra intanto, unione di famiglia
mina il contesto prima assai coeso,
ognuno prende sì la propria strada
ed uno ad uno cedono al tranello,
dell'avvenente furbo frontaliero
per comperare quella masseria.
Luce trafigge la protagonista,
colpita dallo strale dell'amore
del suo dirimpettaio tabaccaio.
Così la masseria resta intera,
unita nel gran nome dell'unione,
il Nostro compra la televisione
portandola così in masseria,
quindi, frattanto, il fiato della voce
della fanciulla, muta fino allora,
la profezia del nonno raccontava.
Questa è la storia, infin, a lieto fine,
ci si ritrova insieme alla visione
di cara beneamata mamma rai.
In mente c'è sermone dell'estinto,
a volte basta poco per la pace
guardarsi in faccia, il verbo in disincanto,
con luna grande e del gallo il canto.
Lorenzo 10.1.24
domenica 7 gennaio 2024
della Memoria

Presenza penetrante in nostra vita
sei dentro i nostri sguardi tristi e vuoti
di quella lucentezza dei tuoi occhi,
quel lunedì un Angelo ti prese
e ti portò nel Regno oltre la morte
nel precategoriale in Vita Eterna.
I lacrimati occhi sul sepolcro,
ti sentono vedendo la tua Gloria,
miseri noi rimasti qui a penare,
non ti dimentichiamo sui tuoi campi
squadrati ed ordinati dei tuoi tempi.
Amor di disciplina ancor ti segna,
mentre beato in infinito Regno
Tu guardi Illuminato il Volto Suo,
in braccio alla Sua Misericordia.
E mentre siamo ancora nel reale,
Ti ricordiamo in questo Memoriale.
Lorenzo 7.1.24