Nella casa di Babbo Natale gli elfi lavorano incessantemente e, con fare gioioso, costruiscono i giocattoli che i bambini hanno chiesto in dono. Arrivano tante lettere di grandi e piccini nella sua magica casa sulla neve, lì al polo nord. Babbo Natale, sempre più appesantito dalla buona cucina della moglie Carolina, fa fatica a trasportarle nell’enorme stanza dove è abituato a leggerle nella sua comoda poltrona rossa.
Ogni mattina si alza di buon’ora e dopo aver controllato, che tutto procede bene nella grande fabbrica di giocattoli, va a sedersi comodo comodo accanto all’enorme cumulo di posta e incomincia a leggere.
Un giorno gli capita fra le mani una lettera scarlatta che lo colpisce in modo particolare, tanto che chiama la moglie:
-Carolinaaaa
- sono impegnata a spazzolare le renne ed a lucidare la slitta. E’ così urgente? Rispose
- Si, vieni!
Carolina, lascia le faccende e, prima di sedersi accanto al marito, gli chiede:
- Cos’è successo? Cosa avrà mai chiesto questo bambino che non possiamo costruire?
- Aspetta, prima di pormi domande, e sappi che non è un bambino chi ci scrive
Caro Babbo Natale
E’ all’imbrunire del giorno che i miei pensieri si vestono di foglie d’autunno e di fiocchi di neve. Scivolano nell’anima in un vortice silenzioso, s’accompagnano ad una lacrima, appena imprigionata fra le ciglia per non impedire al sorriso di espandersi intorno.
Raccolgo la forza dalle braccia, dalla mente, dal cuore e vado in giro ad innestare, come gemma di marzo, un piccolo sorriso tra gli occhi spenti che m’attendono.
Abbraccio il dolore e la solitudine tra i freddi cartoni delle panchine, sotto i muri della stazione, fra verdi lenzuola di sangue, tra bimbi ignorati, maltrattati, malati, vestiti di niente, fra vecchi raggomitolati in rifugi deserti, dagli aliti solitari delle bianche chiome che appannano una finestra spenta, e ancora lì, in quella terra, dove gli spari trucidano la speranza di mani intrecciate, di fame dispersa nel giorno dei ricordi.
Rallento il mio passo nella luce veloce di fari abbaglianti, di macchine in fuga e su strade bagnate raccolgo piccole vite abbandonate sul selciato, che ululano alla luna, coperta dal buio di nere coscienze.
Son piccoli, ma tanti, i regali che porto nell’ombra, leggero è il mio sacco, non mi piega le spalle, solleva la riva di tanti dolori.
Continuo il cammino, mi porta al Natale, ed a te Babbo, che di rosso colori momentanee bontà, e qui, io mi fermo, i piedi nudi incavati nel soffice manto, sapore di freddo, di luci, di canti lontani, di camini accesi, di slitte volanti.
E’ tempo di te caro Babbo Natale, ma li vedi quegli usci giocondi al mondo serrati? Perchè la gente vuol essere buona per un giorno soltanto?
Immagino poi che si ferma la slitta, mi guardi, sorridi e mi tendi la mano rugosa, per lenire il mio dolore vuoi che t’accompagni, ma io non posso volare, non voglio solcare un mondo di futili sogni, di false parole, di balocchi e profumi, di gioielli e pellame, se prima non vedo, per sempre, brillare la stella cometa.
Se bontà e pace nascono solo nel giorno del Figlio, ti prego, regala al mio mondo, tutti i giorni, il Santo Natale.
- hai compreso ora, Carolina? Esordì tristemente Babbo Natale
- Come posso portare questi doni? Non li ho nella mia fabbrica, perché esistono già sulla terra, sono sempre esistiti, appartengono agli uomini fin dalla nascita, ma li hanno buttai via col tempo. Ora si trovano in un pozzo nero, dimenticati! Ed io non posso prenderli, Gesù vuole che vadano loro, i grandi, perché insegnino l'Amore ai propri figli.
- Come faccio ad esaudire questo desiderio? Lo vorrei tanto!
Si raccolse nelle spalle curve e chiuse gli occhi...
Carolina, con voce lieve, gli sussurrò:
- Non essere triste mio caro. In tutti questi anni abbiamo portato tantissimi doni sulla terra... chissà che quest’anno non accade un nuovo miracolo, il dono più grande, quello della lettera, l’Amore fra gli uomini.
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