lunedì 7 aprile 2008


Figlio

( prelevata da sito di grafica http://www.angelasantoro.com )

Sulla sponda della mia coscienza
stringo ricordi e speranze
frantumati dall’inesorabile
ricusa di questi anni
Sembra un gabbiano
urlare al cielo il mio dolore
silenziosa e mesta
ripeto il tuo nome
verso l’infinito
l’antica lacrima tenta
il solco solitario
del mio viso stanco
sussurro di preghiera s’ode
nella perduta notte
sciupata dal crudele dissenso
omai perso nel tempo
dannato fu il destino
decise ch’ io t’ incontrassi
solo in disperati sogni
Figlio

2 commenti:

  1. C'è da commuoversi nel leggere questa malinconica introspezione. Un destino che ha negato il sogno della propria vita. Le cose che ci mancano di più sono proprio quelle che non abbiamo mai avuto e che non potremmo mai avere. Forse solo una cosapevole ed equilibrata accettazione può spingerci a guardare oltre.
    Non so se ho ben interpretato questa tua poesia. Mi hai toccato il cuore.

    Ip

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  2. non importa, non voglio sapere, mancano pezzi che hai dentro te stessa come dentro la poesia. La poesia è sfogo è liberazione. Scriviamo poesie non per diventare famosi o importanti, non per vincere un premio ma per comunicare. Urla la tua poesia, urla e spacca i vetri e che la leggano uno o cento non importa, libera il tuo urlo il tuo dolore.

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